L’analisi CFD a supporto del bike designer

L’analisi fluidodinamica computazionale (CFD) è una tecnica di simulazione ormai diffusa anche nell’industria dei beni sportivi. Di fatto consiste nel discretizzare un volume di fluido in tante minuscole celle (ordine dei milioni per una bicicletta) e per ciascuna risolvere una serie di equazioni fino a convergenza del calcolo. Gli scettici diranno che al più nel mondo bici si fa della Colorful Fluid Dynamics a mero scopo di marketing, ma non bisogna confondere ciò che viene mostrato per finalità d’immagine con ciò che viene effettivamente studiato e tenuto confidenziale per non fornire informazioni preziose alla concorrenza.  

La crescente disponibilità di potenza di calcolo a costo contenuto e la maturità raggiunta da alcune piattaforme software di simulazione permette oggi una profondità di analisi che nessun bike designer/team di sviluppo professionale può permettersi di ignorare. Soprattutto in un mercato altamente competitivo dove è sempre più il marginal gain a determinare la differenza tra un successo (sportivo e/o commerciale) e un risultato mediocre o, peggio, una debacle.

 

 

 

Prima che la CFD diventasse uno strumento accessibile, l’unico approccio allo studio dell’aerodinamica di una bicicletta prevedeva l’utilizzo della galleria del vento, con un forte impatto sui costi e poche possibilità di procedere ad uno sviluppo comparativo per modifiche successive. A meno di avere budget illimitato, l’impiego della sola galleria del vento pone forti limitazioni alle possibili varianti di design da mettere a confronto. Tuttavia, la galleria resta un riferimento fondamentale per fornire quel riscontro sperimentale necessario alla cosiddetta “taratura” dei modelli numerici. Infatti, data la varietà di possibili approcci e parametri di modellazione (tipo di mesh, tipo di analisi, modelli di turbolenza e di transizione dello strato limite, ecc.) sarebbe ingenuo fidarsi ciecamente di un risultato numerico senza una validazione sperimentale o, più frequentemente, senza un riferimento sperimentale che permetta di fare un tuning dei parametri affinché il modello diventi affidabile.

E allora dove sta l’utilità della CFD se comunque richiede un riscontro sperimentale?

Ecco la buona notizia: dato un problema fluidodinamico (es. una bicicletta ad un certo range di velocità e angoli di incidenza) e fatto il tuning di un primo modello, non è che modificando il telaio o un componente si vada ad alterare radicalmente la fisica del problema stesso. Tanto più se le modifiche restano nei limiti delle regole UCI. Ovvero, una volta messi a punto correttamente i parametri e scelta opportunamente la fisica di base del modello, questo sarà sufficientemente robusto e affidabile anche per successive variazioni del design e dunque adeguato a fornire indicazioni sui possibili miglioramenti. Inoltre, gli stessi strumenti software di analisi CFD si sono oggi evoluti nella direzione di fornire una piattaforma integrata per l’ottimizzazione, permettendo di esplorare un ampio spazio di design in un arco temporale che era impensabile anche solo 10 anni fa.

Gregario offre all’industria ciclistica, attraverso le sue attività di consulenza B2B, una concreta competenza ed esperienza nell’implementazione di analisi fluidodinamiche. Utilizzando il software CFD StarCCM+ di Siemens Gregario è in grado di supportare durante tutto il ciclo di progettazione prodotto con analisi di dettaglio ed una reportistica accurata lo sviluppo fluidodinamico di telai e componenti. Il tutto con la tradizionale riservatezza blindata al 100% che distingue un fidato Gregario.

 

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Blog | 29 Marzo 2024

Fatto a mano

In Gregario coltiviamo da sempre stima e rispetto per la tradizione telaistica artigiana del nostro bel Paese, quella che si dedica ad una nicchia di prodotto “classico” intramontabile, con l’acciaio in primis, ma anche con il carbonio fasciato e altre tecniche tipiche dell’atelier.

Dunque lunga vita agli artigiani telaisti e a chiunque si dedichi a preservare e tramandare una ars technica nobile e affascinante!

Ciò premesso, ci è capitato di incrociare recentemente alcuni post social di diversi stimati artigiani della bicicletta che esaltando le (indubbie) qualità dei propri telai mettono il loro “fatto a mano” in contrapposizione ai telai “stampati” in carbonio monoscocca. Detta così sembra una rivendicazione più che legittima, ma questa narrazione induce una disinformazione importante su COME vengono effettivamente prodotti i telai “stampati”… vale a dire con un lavoro manuale decisamente più impegnativo e oneroso di qualsiasi tecnica di giunzione degli otto tubi.

Eh già, perchè non stiamo parlando di stampare biscotti, bensì di disporre accuratamente oltre 200 sagome di tessuto (carbonio preimpregnato) all’interno di uno stampo. Parliamo di ritagli che vanno dalla pezza “lunga” 40 cm a francobolli di pochi cm, che devono essere posizionati a mano secondo uno schema preciso (il cosiddetto ply-book), con sovrapposizioni accurate, risvolti da gestire e direzioni della fibra da rispettare. E questa è soltanto una buona metà del lavoro, perché poi, a seconda della tecnologia di cura della resina utilizzata, ci sono una serie di ulteriori operazioni da fare, sempre rigorosamente a mano.

Nel caso dell’autoclave (tecnica più diffusa in Europa) è necessario disporre con estrema cura i sacchi interni, chiudere i due semistampi senza “pizzicare” nulla, disporre una serie di materiali ausiliari, chiudere il sacco esterno, applicare il mastice per collegare i sacchi interni con l’esterno e così via fino al momento in cui tutto viene mandato a temperatura e pressione. Inoltre, finita la “cottura”, si procede, ancora una volta a mano, con l’apertura dello stampo, l’estrazione del pezzo e fasi di finitura. Tutto ciò con una serie di possibili varianti operative in cui non ci addentriamo.

Dunque non c’è niente che sia più “fatto a mano” di un telaio monoscocca in carbonio.

Blog | 11 Agosto 2023

Pedalare Meditando

Ogni pedalata ben riuscita è prima di tutto un’attività di meditazione.

Ci si trova, prima o dopo, durante il percorso, ad entrare in una sorta di trance: i polmoni ventilano, il cuore pompa, la memoria muscolare ingrana il pilota automatico: intensità, tempismo, coordinazione, riflessi. Il cervello a questo punto deve “solo” tenere d’occhio le buche e gli altri utenti della strada (e non è poco), ma, considerata la potenza di calcolo disponibile, si ritrova mediamente disoccupato. I problemi quotidiani vengono improvvisamente convocati ad una riunione mentale rapida e risolutiva: si risolve ciò che è risolvibile, si ridimensiona ciò che non è importante, si apre un improvviso sguardo “laterale” su ciò che pareva insolubile. La doccia al rientro consolida i pensieri, fissa le idee fondamentali e siamo pronti per affrontare nuove sfide personali e professionali.

Tutto questo però succede solo ad una condizione: l’assenza di dolore. La fatica non è un problema, quella fa parte del gioco, è voluta e desiderata dal ciclista, ma il dolore è tutta un’altra storia, il dolore rovina tutto. Un ginocchio che si infiamma, un fastidio insistente al collo o un bruciore inatteso all’inguine possono compromettere tutto il piacere meditativo. Il cervello non riesce a focalizzarsi su altro: “magari se arretro un po’ sulla sella… no, ora provo in piedi… niente da fare, torno ad impugnare alto… nulla, magari uno sprint aiuta a sbloccare, macchè… che faccio? Mi sa che devo rientrare”. Obiettivo mancato e conseguente delusione.

Poi magari si aspetta qualche giorno, anche una settimana e si riprova. E che frustrazione quando quel dolore torna a farsi sentire, magari dopo qualche decina di km in cui ci ha lasciato covare l’illusione di una pedalata ben riuscita. Anche nell’ipotesi di abbassare il ritmo e concludere senza acciacchi le uscite seguenti, lo stato mentale è compromesso: si passa il tempo ad ascoltare i nervi, a registrare ogni minimo segnale, nel timore di riconoscere nuovamente l’inizio di quel dolore.

Nel peggiore dei casi si entra in un loop di visite mediche, sessioni di bike-fitting, cambi di sella/manubrio/attacco/riser/tacchette/regolazioni/ecc. E in tutto questo ci si ferma ad un certo punto a pensare: dov’è finito quel piacere di inforcare la nostra fedelissima, imboccare la strada ed entrare rapidamente in quella bolla di meditazione?
Chiunque abbia conosciuto questo percorso sa che un telaio su misura rappresenta la soluzione più efficace e duratura. Un telaio su misura è progettato per adattarsi alle caratteristiche fisiche e morfologiche del ciclista, garantendo una postura ottimale, una distribuzione equilibrata del peso e una minore pressione sulle articolazioni. Grazie a questa personalizzazione, il rischio di dolore e infortuni si riduce drasticamente, permettendo di godere pienamente di ogni pedalata e mantenendo la mente concentrata sull’essenza del viaggio. Investire in un telaio su misura è investire nel proprio benessere fisico e mentale, ritrovando quella meditazione in movimento che rende il ciclismo una delle esperienze più gratificanti e liberatorie. Solo così, il ciclista potrà riscoprire il vero significato di quella bolla di meditazione su due ruote, dove il corpo, la mente e la strada si fondono in perfetta armonia.

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